Inizia con il Campionato 2024/2025 la Campagna dell'Albano calcio a 5 contro ogni forma di abuso, di violenza, di discriminazione. Safeguarding non è solo il rispetto di una norma di legge, ma la costruzione della cultura del rispetto.
Per essere felici giocando a pallone!
Siamo tutti impazziti. Cutrone denuncia che sui social viene minacciato di morte, lui e famiglia, per aver sbagliato un calcio di rigore. De Rossi minaccia querele verso chi, qualcuno verosimilmente dell’ambiente, ha diffuso la notizia di uno scontro, anche fisico, tra l’allenatore stesso e uno dei giocatori più importanti della squadra giallorossa, per una storia di sostituzioni, Neres, giocatore del Napoli viene rapinato, pistola in pugno, subito dopo la partita. Claudio Lotito, senatore e presidente della Lazio, ogni santa domenica viene contestato dalla frangia più estrema dei tifosi con tanto di augurio di una rapida e indolore dipartita.
Ma dove è finito il calcio che piace a noi?
Quello che ci fa svegliare presto la domenica mattina per accompagnare una banda di ragazzini dall’altra parte della città per giocare una partita del campionato provinciale?
Quello che ci fa sentire allenatori e dirigenti della squadra più forte del mondo, anche quando, in campo, dirigiamo una decina di bambini e bambine di meno di dieci anni?
Il calcio di vertice, quello che ci dovrebbe far sognare, che dovrebbe rappresentare l’obiettivo irraggiungibile delle nostre storie sportive, si sta trasformando da sogno a incubo. Le curve rappresentano sempre di più il covo della violenza, anche politica. Una sorta di zona franca dove si può inneggiare a chi si vuole o insultare nelle forme più violente cani e porci.
Ci si indigna e si squalificano curve per i “bu bu” ai giocatori di colore (che invece si osannano se giocano con la nostra maglia), e si sorride invece per i “lavali col fuoco” diretti al noto vulcano che distrusse le città di Ercolano e Pompei.
Schizofrenia allo stato puro.
Calcio e violenza è un binomio che va spezzato, una pianta che va recisa sul nascere. E sul nascere vuol dire appena un ragazzino entra nella Scuola Calcio.
E, invece, è proprio li, dove deve nascere la passione, quella pulita,e l’amore per il gioco più bello del mondo che, in molti casi, viene piantato il seme della violenza, della visione dell’avversario come un nemico.
Ho udito con i miei orecchi allenatori che intonavano con i propri ragazzi cori del tipo “chi non salta dell’ ……. È!” al rientro negli spogliatoi.
Ho visto bambini incoraggiati dagli adulti che li dovrebbero educare, a rimanere per terra per perdere tempo, simulando dolori atroci per uno sguardo dell’avversario.
Ho asciugato lacrime di un bambino insultato da genitori dell’altra squadra per qualche chilo di troppo.
Ho visto arbitri poco più che quindicenni essere presi a schiaffi da dirigenti cinquantenni per un rigore non concesso.
E allora possiamo assistere impotenti a tutto questo? Il calcio va difeso, va amato, va rispettato. Va spiegato a ragazzi e genitori che lo scopo di giocare a calcio è fare sport all’aria aperta, smaltire le tossine fisiche e mentali dei pomeriggi passati davanti alla playstation o allo smartphone (non lo chiamo più telefonino, perché ormai viene usato per tutto meno che per telefonare), conoscere nuovi ragazzi e bambini con cui, magari, diventare amici e scoprire che vengono alla nostra stessa scuola, nell’altra sezione, e andarci a fare i compiti insieme.
Conoscere adulti che ti trasmettono i valori dell’educazione e del rispetto e che tu sei come me, anche se il colore della nostra pelle non è uguale, se la bilancia ci mostra numeri diversi, o se sei nato all’ombra della Madonnina invece che del Maschio Angioino, o se i tuoi genitori sono arrivati con l’aereo o con il gommone o sono sempre vissuti qui da tremila anni, o se ti innamori dello stesso tipo di persone oppure no.
Quando il calcio tornerà ad essere questo, allora anche le curve torneranno ad essere luoghi di incontro e di festa.
E allora ci può stare anche l’adrenalina del campo, l’irritazione per un errore di un ragazzo con il fischietto. Ma poi, al fischio finale, tutto finisce e si deve tornare a sorridere.
Un abbraccio tra due allenatori che si
fanno i sinceri complimenti a fine gara, educa più di mille parole. E tutto
questo, prima di insegnarlo ai bambini, dobbiamo impararlo noi adulti.
mg
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