lunedì 2 dicembre 2024

ARRESTO CARDIACO IN CAMPO PER EDOARDO BOVE!

 


Minuto diciassette del Primo tempo di Fiorentina Inter. Il Var sta valutando la regolarità del gol segnato da Lautaro Martinez e Edoardo Bove, dopo essersi allacciato le scarpe da gioco, si rialza, fa qualche passo e poi si accascia al suolo privo di sensi. I soccorsi immediati e l’intervento dell’ambulanza permettono al ventiduenne centrocampista viola di riprendersi da quello che sembra un arresto cardiaco e di mandare messaggi rassicuranti dall’ospedale di Careggi, dove è ricoverato in terapia intensiva.

L’episodio fa tornare alla mente le tragedie di Morosini, di Bovolenta, di Puerta e di tanti Campioni dello Sport, professionisti di norma super controllati da un punto di vista medico e caduti sul campo di gioco.

Nella maggior parte dei casi, paradossalmente, non si arriva a scoprire la causa (o le cause) che hanno determinato l’arresto cardiocircolatorio. E, allora, dove si può agire per evitare il ripetersi di eventi di questo tipo? Al di là della prevenzione, che ovviamente è fondamentale, con l’aggiornamento degli standard delle visite mediche di idoneità sportiva (che risalgono al 1982) con l’introduzione obbligatoria dell’Ecocardiogramma (oltre all’elettrocardiogramma già presente), è fondamentale saper agire immediatamente e con competenza.

Bove era circondato da sanitari ed era in un luogo affollato, con una ambulanza pronta a poche decine di metri. Ma che sarebbe potuto accadere ad un anonimo signor Rossi, in un campo di padel o di calcetto, di periferia, con un tempo di arrivo dei soccorsi stimato per il Lazio di 16 minuti (dati relativi al 2017) o di oltre 20 minuti per Regioni come Basilicata, Abbruzzo, Valle d’Aosta e Umbria? Le statistiche ci dicono che le speranze di rianimare qualcuno colpito da arresto cardiopolmonare decrescono del 10% ogni minuto che passa, per azzerarsi praticamente dopo una decina di minuti dal verificarsi dell’evento. Se calcoliamo il tempo di rendersi conto di quanto sta avvenendo, i tentativi spontanei di rianimazione, la chiamata al 112 e l’attivazione dei soccorsi istituzionali con l’arrivo di una ambulanza attrezzata per la rianimazione (nel Lazio fortunatamente tutte le ambulanze lo sono), il tempo diventa il nostro maggior nemico.

E, allora, qual è la soluzione? La soluzione è paradossalmente, è tanto semplice quanto banale. Occorre che ci sia qualcuno, nelle immediate vicinanze, in grado di rendersi conto immediatamente di cosa stia accadendo, allertare, altrettanto immediatamente i soccorsi e iniziare subito le manovre di rianimazione, utilizzando il defibrillatore che, secondo la legge Balduzzi del 2012, deve (non vogliamo volutamente usare il termine “dovrebbe”) essere presente in ogni impianto sportivo del paese e correttamente manutenuto (piastre e batterie vanno cambiate periodicamente). Anche la presenza di un operatore laico (non sanitario) deve essere garantita per tutto il tempo in cui ci sono attività nell’impianto stesso.

Tutto questo può fare la differenza tra la vita e la morte dello sventurato. Promuovere la formazione di più persone possibile alle manovre salvavita che, anche in assenza del defibrillatore, possono mantenere accesa la fiammella della speranza, è l’elemento essenziale per un intervento efficace.

La vita si deve tutelare con la cultura dell’emergenza. In tutte le scuole, di ogni ordine e grado, dovrebbero essere insegnate le manovre salvavita (manovra di Hamlich, massaggio cardiaco e ventilazione) e l’uso del defibrillatore semiautomatico. In tutte le società sportive accanto ai corsi specifici per la disciplina sportiva, andrebbero affiancate lezioni sull’emergenza, con simulazioni pratiche su manichino.

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