Minuto diciassette del Primo tempo
di Fiorentina Inter. Il Var sta valutando la regolarità del gol segnato da
Lautaro Martinez e Edoardo Bove, dopo essersi allacciato le scarpe da gioco, si
rialza, fa qualche passo e poi si accascia al suolo privo di sensi. I soccorsi
immediati e l’intervento dell’ambulanza permettono al ventiduenne
centrocampista viola di riprendersi da quello che sembra un arresto cardiaco e
di mandare messaggi rassicuranti dall’ospedale di Careggi, dove è ricoverato in
terapia intensiva.
L’episodio fa tornare alla mente
le tragedie di Morosini, di Bovolenta, di Puerta e di tanti Campioni dello
Sport, professionisti di norma super controllati da un punto di vista medico e
caduti sul campo di gioco.
Nella maggior parte dei casi,
paradossalmente, non si arriva a scoprire la causa (o le cause) che hanno
determinato l’arresto cardiocircolatorio. E, allora, dove si può agire per
evitare il ripetersi di eventi di questo tipo? Al di là della prevenzione, che
ovviamente è fondamentale, con l’aggiornamento degli standard delle visite
mediche di idoneità sportiva (che risalgono al 1982) con l’introduzione
obbligatoria dell’Ecocardiogramma (oltre all’elettrocardiogramma già presente),
è fondamentale saper agire immediatamente e con competenza.
Bove era circondato da sanitari
ed era in un luogo affollato, con una ambulanza pronta a poche decine di metri.
Ma che sarebbe potuto accadere ad un anonimo signor Rossi, in un campo di padel
o di calcetto, di periferia, con un tempo di arrivo dei soccorsi stimato per il
Lazio di 16 minuti (dati relativi al 2017) o di oltre 20 minuti per Regioni
come Basilicata, Abbruzzo, Valle d’Aosta e Umbria? Le statistiche ci dicono che
le speranze di rianimare qualcuno colpito da arresto cardiopolmonare decrescono
del 10% ogni minuto che passa, per azzerarsi praticamente dopo una decina di
minuti dal verificarsi dell’evento. Se calcoliamo il tempo di rendersi conto di
quanto sta avvenendo, i tentativi spontanei di rianimazione, la chiamata al 112
e l’attivazione dei soccorsi istituzionali con l’arrivo di una ambulanza
attrezzata per la rianimazione (nel Lazio fortunatamente tutte le ambulanze lo
sono), il tempo diventa il nostro maggior nemico.
E, allora, qual è la soluzione? La
soluzione è paradossalmente, è tanto semplice quanto banale. Occorre che ci sia
qualcuno, nelle immediate vicinanze, in grado di rendersi conto immediatamente
di cosa stia accadendo, allertare, altrettanto immediatamente i soccorsi e
iniziare subito le manovre di rianimazione, utilizzando il defibrillatore che,
secondo la legge Balduzzi del 2012, deve (non vogliamo volutamente usare il
termine “dovrebbe”) essere presente in ogni impianto sportivo del paese e
correttamente manutenuto (piastre e batterie vanno cambiate periodicamente). Anche
la presenza di un operatore laico (non sanitario) deve essere garantita per
tutto il tempo in cui ci sono attività nell’impianto stesso.
Tutto questo può fare la
differenza tra la vita e la morte dello sventurato. Promuovere la formazione di
più persone possibile alle manovre salvavita che, anche in assenza del
defibrillatore, possono mantenere accesa la fiammella della speranza, è l’elemento
essenziale per un intervento efficace.
La vita si deve tutelare con la cultura
dell’emergenza. In tutte le scuole, di ogni ordine e grado, dovrebbero essere
insegnate le manovre salvavita (manovra di Hamlich, massaggio cardiaco e
ventilazione) e l’uso del defibrillatore semiautomatico. In tutte le società
sportive accanto ai corsi specifici per la disciplina sportiva, andrebbero
affiancate lezioni sull’emergenza, con simulazioni pratiche su manichino.
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