Il Menestrello del pallone: Uno su quarantamila: il vero trionfo delle scuole calcio!
Numeri, sogni e realtà: cosa insegna davvero il pallone
Uno su ventimila: questa è la probabilità che, tra le bambine e i bambini che si iscrivono alle nostre scuole calcio, qualcuno diventi un Professore Universitario. Uno su venticinquemila diventerà un Magistrato. Uno su quarantamila giocherà almeno una partita in Serie A. Numeri impietosi, se osservati con lo sguardo di chi sogna un destino da campione. Ma sono davvero questi i dati che decretano il successo o il fallimento di una società sportiva?
La tentazione di ridurre tutto a una questione di
statistiche è forte. Facendo il famoso “conto della serva”, come spesso si
sente dire nei corridoi delle società storiche, ci rendiamo conto che
potrebbero servire secoli prima di poter vedere, dagli spalti di uno stadio
leggendario, un giovane cresciuto con noi calcare l’erba di San Siro o
dell’Olimpico. Ma fermarci a questo vorrebbe dire non capire la vera essenza
dello sport.
Quando il risultato non è tutto
Sono i numeri di un fallimento? Assolutamente no! Sono, al
contrario, la prova tangibile della forza di uno sport che, prima di tutto, è
occasione di crescita, formazione e gioco. Perché il calcio, o meglio il
“giuoco del calcio”, come recita il nome della nostra Federazione, è una
straordinaria scuola di vita. Insegna a lavorare in gruppo, a rispettare le
regole, a convivere con la sconfitta e a gioire delle piccole conquiste
quotidiane.
Troppo spesso, chi si avvicina al mondo del pallone lo fa
con il bagaglio pesante di aspettative e sogni di gloria. Genitori che vedono
nel figlio o nella figlia il potenziale campione, il futuro miliardario della
pelota. E così, la delusione si insinua tra le pieghe delle prime sconfitte,
delle panchine, dei gol mancati. Ma il calcio giovanile dovrebbe essere, prima
di tutto, una festa. Un diritto di ogni persona a divertirsi, crescere,
sbagliare e riprovare, insieme ai propri amici, in un ambiente sano e protetto.
Le responsabilità delle società e il costo del sogno
Una parte di responsabilità grava anche sulle società
sportive, spesso chiamate a giustificare quote di iscrizione che, in molti
casi, sfiorano o superano i mille euro all’anno. Un costo che rischia di
trasformare il calcio in un bene di consumo, accessibile soltanto a chi può
permetterselo, piuttosto che in un diritto universale. In un’epoca in cui molte
famiglie fanno fatica ad arrivare a fine mese, questa è una riflessione che non
può più essere rimandata.
Fare calcio deve tornare a essere un servizio alla comunità,
una scelta etica e sociale. Serve riscoprire il valore del volontariato: uomini
e donne disposti a dedicare tempo ed energie, contando su semplici rimborsi
spese che coprano il carburante, un panino per la trasferta o l’acqua
dimenticata alla sede. Solo così si può restituire allo sport la sua funzione
più autentica.
L’importanza delle istituzioni e della società civile
A fianco delle società sportive, devono schierarsi con
decisione le istituzioni, sia locali che nazionali, e gli operatori economici
del territorio. È necessario che si sviluppi, finalmente, quel senso di
responsabilità sociale d’impresa che vada oltre la mera convenienza fiscale
delle sponsorizzazioni. Servono investimenti che guardino al futuro, che
mettano al centro le persone e la crescita umana prima di quella sportiva.
Dilettantismo non è sinonimo di “seconda scelta”, né deve
essere vissuto come un sottoprodotto del professionismo. Al contrario, è
un’alleanza sociale tra chi crede in un mondo migliore, fatto di rispetto,
inclusione e volontà di lasciare ai giovani un ambiente più ricco di valori.
Il vero successo: una comunità che cresce
Se domani, dopo secoli di storia, dovesse uscire dalle
nostre fila un campione pronto a calcare i campi della Serie A, saremo i suoi
primi tifosi. Ma avremo vinto soprattutto se, nel frattempo, avremo
accompagnato centinaia di bambini e bambine nel loro percorso di crescita,
regalando loro amicizie, ricordi, abbracci e sogni.
Perché la vera partita si gioca ogni giorno, sul terreno
dell’educazione, dell’inclusione e del divertimento. E chiunque abbia
indossato, almeno una volta, una maglia di una scuola calcio, avrà portato a
casa qualcosa di molto più prezioso di una semplice vittoria.
E se, poi, ci scappa il campione, evviva! Saremo pronti a
seguirlo sugli spalti, magari passando il testimone per accompagnarlo agli
allenamenti o alle partite di un grande club. Ma la sfida più bella resterà
sempre quella vinta insieme, crescendo come comunità.

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