Il Menestrello del Pallone. Quando aspettare un figlio diventa un problema. Anche nello sport.

 


La pallavolista delle Black Angels di Perugia, formazione militante in Serie A di Volley, Asja Cogliandro, denuncia di essere vittima di discriminazione e di “pressioni psicologiche “per indurla a risolvere il suo contratto con la società umbra. La “colpa” dell’atleta ventinovenne è quella di essere rimasta incinta. Intervengono un po’ tutti sulla questione, dal Ministro Abodi, al Presidente della FIPAV, Giuseppe Manfredi, alla “divina” Federica Pellegrini. Si parla, tra le altre cose, tra l'indignazione generale, di fondi di sostegno, di rispetto dei contratti, di soldi che ballano.

Io credo che il vero scandalo sia proprio che se ne parli. In un momento storico dove ci si riempie la bocca con termini come “inverno demografico” o “crisi delle nascite”, la gravidanza continua ad essere trattata come un fenomeno patologico e non, invece, come quello che è, un evento assolutamente fisiologico. Una donna non è “ammalata di gravidanza”, ma è una persona che vive un tempo nell'attesa di mettere al mondo una nuova creatura. Un evento assolutamente naturale e, per questo, bellissimo, coinvolgente, che rappresenta un indiscutibile diritto per madre e figlio. 

Se Asja si fosse rotta il crociato e fosse rimasta fuori dal campo per nove mesi, nessuno ne avrebbe parlato.

Lo sport deve rappresentare il luogo sacro della condivisione dei valori e io credo che il diritto alla vita, dal suo scoccare iniziale al suo termine naturale, vada non solo tutelato, ma anche incoraggiato, condiviso, applaudito. La vita è un dono, non solo biologico, ma anche morale e sociale. La donna che decide di avere un figlio sa che dovrà donargli non solo cellule e DNA, ma anche tempo, ansie, preoccupazioni, nottate in bianco e corse dal pediatra. Dovrà donare non solo un ovocita, ma anche una parte importante di sé stessa, in termini di aspirazioni, di prospettive professionali, di ricchezza materiale.

E la società, a partire dal nucleo più piccolo, la famiglia, deve vivere una gravidanza come uno straordinario evento naturale. Deve far sentire importante la futura mamma, infondere serenità e accompagnare con tenerezza, affetto e attenzione questo percorso di sostegno alla nuova vita del nascituro, ma anche alla nuova vita dei suoi genitori. La responsabilità di mettere al mondo un figlio sarà poi trasformata nelle tante gioie che questo regalerà. 

Donarsi fa necessariamente rima con amarsi. E non c’è amore più grande che dare la propria vita per chi si ama.

E allora, tornando al ruolo dello sport, una atleta deve poter vivere la propria gravidanza senza che nessuno ne parli, con tutti che ritengono assolutamente naturale che una giovane donna si trasformi in mamma, continuando, passato il tempo necessario, a praticare lo sport che ama. Ancora più brava e ricca di prima.

Intanto, però, dobbiamo parlarne. E anche ad alta voce. Per dare voce a chi non ne ha, o a chi l’ha troppo bassa e flebile per farsi sentire. Un mondo migliore si costruisce sul rispetto per i più deboli, sul sostegno verso chi non ce la fa. Tante donne debbono rinunciare al posto di lavoro perché incinte o madri, troppe donne vengono ancora discriminate in termini di retribuzione o di limitazione della carriera professionale a causa del loro essere madri. Troppe donne interrompono la gravidanza perché si sentono sole o abbandonate o perché sono soverchiate da problemi economici.

Combattiamo perché lo sport sia il luogo dell’accoglienza e regali solidarietà, affetto, sostegno a tutti coloro che ne hanno bisogno. Combattiamo perché lo sport sia non solo il luogo della salute e della sicurezza, ma anche, e soprattutto, il luogo della Vita, in tutte le sue sfaccettature.

Avremo vinto anche quando una gravidanza di una giovane pallavolista qualsiasi non solleverà più una nuvola mediatica, ma sarà solo una silenziosa meravigliosa avventura di Amore.

Marco Giustinelli

Padre, Giornalista e Scrittore ...

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