"Mai come nell'ultima stagione sono cresciuti i numeri del Settore Giovanile, ma contemporaneamente sono in caduta libera i tesserati tra i dilettanti. Perchè la metà dei ragazzi abbandona il calcio?"
E se fosse proprio la riscoperta
della “strada”, la soluzione ai problemi del calcio? Non ci qualifichiamo più
per i Campionati del Mondo, nelle competizioni continentali non facciamo, salvo
rare eccezioni, un gran figurone. E quali sono i motivi di questa debacle del
calcio tricolore?
La nostra redazione ha
intervistato il Direttore di Forum511, Marco Giustinelli, da cinquanta anni sui
campi di calcio e calcio a cinque, con esperienza nel settore arbitrale, nella
Lega Nazionale Dilettanti, nel Settore Giovanile e Scolastico della Federcalcio
e, adesso Direttore generale dell’Albano calcio a 5, la squadra di futsal,
fondata nel 1996, che fa riferimento alla Famiglia Sette.
Direttore, c’è una disaffezione generale verso il calcio?
“I numeri ci dicono il contrario.
Mai come nella passata stagione i numeri del Settore Giovanile sono stati così
alti da vent’anni a questa parte. Nel 2022/2023 la FIGC ci dice che ha
tesserato ben 725.000 ragazzi e ragazze. Nel 2009/2010 i tesserati giovani
erano 620.000. In teoria ci sarebbe da fare i salti di gioia."
Perché “in teoria”?
“Perché, invece, i numeri dei Dilettanti sono, paradossalmente in caduta libera. Nel 2009/2010 i tesserati erano 474.000, mentre nella scorsa stagione sono diventati meno di 370.000. Ma il dato veramente preoccupante è un altro.”
Cioè? Si spieghi meglio.
“Si sta allargando la forbice tra
chi inizia a giocare a pallone e chi continua anche da grande. Nel 2010 meno di
uno su cinque abbandonava il calcio (23%), mentre oggi soltanto la metà di chi
ha frequentato la Scuola Calcio e il Settore Giovanile, prosegue (51%). E il
trend, dai dati riportati dal report FIGC, purtroppo è in costante espansione.”
E di chi è la responsabilità?
“Secondo me è essenzialmente
culturale. Oggi il calcio è pubblicizzato a tutti i livelli, si vedono a tutte
le ore partite dei Campionati più esotici e lontani da noi. Con l’avvento della
Pay Tv, ormai il calcio è un prodotto globale e i social contribuiscono ad una
distribuzione capillare di contenuti calcistici a tutti i livelli e per tutte
le fasce di età. Secondo Forbes, la persona più nota al mondo è Cristiano
Ronaldo. Ed è emblematico che un calciatore sia conosciuto più di un papa, di
un leader politico, ma anche di un cantante o di un attore. Il calcio è passato
dall’essere essenzialmente un momento di socializzazione a un prodotto commerciale.
Per questo moltissimi bambini ne sono attirati, si iscrivono alle Scuole
Calcio, ma poi, delusi, abbandonano alle soglie dell’adolescenza. Una parte
delle responsabilità è anche delle famiglie, che sono le prime a cadere nell’inganno
del calcio come sicura opportunità professionale dei figli. Su questo aspetto
bisogna lavorare. Presto e bene.”
Anche il numero delle società
è in calo?
“Sempre i dati FIGC ci raccontano
che le società di Settore Giovanile hanno subito un calo di oltre il 22%
rispetto al periodo prepandemico. E questo è sintomatico. Se la matematica non
è una opinione, la crescita dei tesserati, combinata con la diminuzione del
numero dei club, significa che aumenta tendenzialmente il numero di giocatori
per gruppo squadra o diminuisce il tempo di allenamento dei gruppi squadra a
parità di disponibilità di impianti. Il che vuol dire una cosa sola: è
diminuita la qualità del Calcio Giovanile in Italia. E questo è un elemento che
potrebbe, in parte, spiegare i motivi dell’abbandono precoce del calcio.”
E quale potrebbe essere la
soluzione per Marco Giustinelli?
“Innanzitutto, spezzare il ciclo
perverso calcio/denaro. Non è vero che con il calcio si diventa ricchi! Un
professionista, in Italia, guadagna, mediamente 55.000 euro all’anno (studio
Stendardo), equivalente allo stipendio di un direttore di banca. La differenza
è che il bancario li guadagna fino a 67 anni e poi gode di una pensione proporzionata,
mentre un calciatore non supera i 35/37 anni alla data del ritiro. Infatti, in
alcuni paesi come la Spagna, la categoria degli ex atleti di vertice, è
considerata come “categoria fragile”, a forte rischio povertà. Ma questo non si
deve dire. Si preferisce illudere i bambini che diventeranno tutti come
Cristiano Ronaldo. Li vestiamo anche come Cristiano Ronaldo. La forza di uno
sport è data in larga parte dalla componente emozionale. La voglia di allenarsi
per migliorare, lo spirito di sacrificio, la passione sono componenti
essenziali per chi pratica uno sport. Dobbiamo abbassare le aspettative verso i
ragazzi, riportando il calcio metaforicamente alla strada, dove ci si divertiva
senza adulti che ti irregimentavano, senza arbitri, senza cronometro, senza
genitori sulle tribune. E riportarlo come valore di comunità. Il calcio di
vertice è ricco, superesposto, iperorganizzato. Ma il nostro calcio è un’altra
cosa. Va ricercato il clima “oratoriale”. Certamente adattato ai nostri tempi,
ma che riscopra i valori originali dello sport vissuto come il modo migliore di
stare insieme, di divertirsi, di giocare. È proprio il senso del gioco che è
stato sottratto ai nostri ragazzi. E a chi dice, e sono molti, che così non si
diventa campioni, ricordo che i Rivera, i Mazzola, i Riva, i De Sisti (per
parlare dei Campioni di casa nostra), hanno cominciato a tirare i primi calci
all’ombra del campanile. E, in ultimo, mantenere e valorizzare il doppio canale
sport/studio. Anche se qualcuno, glielo auguriamo, arrivasse al professionismo,
gli ricordiamo che quando appenderà le scarpe da gioco al chiodo, avrà ancora
tutta una vita da vivere. E avere gli strumenti, che solo la cultura può dare,
per viverla al meglio, non sarebbe male.”
n.b. i dati riportati nell’intervista sono stati presi dal
Report FIGC 2024, disponibile sul sito www.figc.it
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